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L'Arte dell'Oreficeria

Tratto da "L'ORAFO" di Edoardo Saronni 1927 e da appunti di Fedele Caffini Maestro Cesellatore in Milano

 

L'arte dell'oreficeria fu certamente la prima ad apparire, rudimentale quanto si volle, come prima forma espressiva al destarsi nell'uomo al desiderio del bello. Da essa sono poi derivate tutte le altre forme d'arte, man mano che l'uomo, dal desiderio di abbellire se stesso, è passato a quello di abbellire ciò che gli stava intorno. Ai lontani genitori nostri, ancora selvaggi, viventi nelle caverne, sulle palafitte, tutto serviva da decorazione, del corpo prima, della capanna poi: fili attorcigliati, conchiglie riunite asimmetricamente, foglie, penne, unghie, ed ossa di animali, coralli. Lo stesso tatuaggio, mi si perdoni il paradosso, è una forma embrionale di oreficeria. Si cominciò con la ripetizione della stessa foglia, dello stesso corallo, della stessa piccola conchiglia, uguale per tutto il giro del collo, del braccio, del piede; poi, pezzi piccoli si alternarono a quelli grandi, e infine si formarono dei centri, intorno ai quali, si disposero in modo vario ed armonico i pezzi più minuti per rompere la monotonia del geometrico, con una novità nella visione estetica della forma e del colore, che preludiava il sorgere della scultura, della pittura e del senso della prospettiva.

E si è giunti così ad una armonia di insieme, con intrecci di animali e di rabeschi finissimi sino a noi. Il colore brilla negli smalti e negli ori, sfolgora nelle gemme con una delizia che scende per gli occhi al cuore.

L'ispirazione può venire da qualunque cosa bella, e che tale appare intorno: dalla grandiosità di un tramonto, alla sfumatura leggera di un'aurora; da un ramoscello pendulo di fiori, da un cardo disseccato, dal pavone al coleottero, dallo scintillare solenne di una notte stellata, all'esile tela di un ragno.

Ma l'arte dell'orafo non si arresta al gioiello rutilante di pietre preziose; egli orna centri da tavola, vasi di fiori, servizi da caffè, piatti, anfore, vassoi, e non cura la ricchezza della materia tanto quanto la grazia della linea e degli atteggiamenti.

Chi osserva con occhio d'amore, dalle creazioni d'arte trae lo stesso piacere che da un ricco paesaggio di luce, da una musica soave e profonda. Guida sicura in questo può essere l'ispirazione semplice e sincera e il desiderio di esprimere un proprio modo di vedere e di sentire, senza sforzo apparente, dopo l'intima e matura riflessione, come se l'opera fosse venuta quasi di getto, poiché l'affastellare linee e motivi senza piani, ha sempre significato la decadenza e la povertà dell'ispirazione anche nell'arte nostra.

 

 

 

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